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Io non sono un uomo, sono Eric Cantonà! Talento ribelle…
- Updated: 18 febbraio 2015

Era il 25 gennaio del 1995 quando Eric Cantona scriveva un capitolo senza precedenti della storia sportiva con il celebre calcio volante a Matthew Simmons, tifoso del Crystal Palace. Una mossa di kung fu divenuta leggenda e opera d’arte, il vero marchio di fabbrica di uno dei più discussi campioni della storia di questo sport. Soltanto poche settimane fa è stato ‘celebrato’ il ventennale di un gesto che, ancora oggi, fa il giro del mondo.
L’immagine del ‘calcio di Cantona’ è diventata ormai un’icona molto diffusa, raffigurata in ogni modo tra Pop art, Modern art e Street art. Raramente l’ex stella francese è stata ritratta in occasione di un goal o di un episodio legato alle pur numerose gesta calcistiche, molto più faCile trovarlo immortalato in qualche dipinto che testimonia la sua furia contro l’insulto ricevuto. Un episodio che da una parte ha aumentato la celebrità del personaggio, ma dall’altra ha segnato un solco indelebile nel progressivo declino della sua carriera.
A proposito di arte, Cantona nasce proprio da un padre pittore: la madre, sarta di professione, lo dà alla luce nella città di Marsiglia il 24 maggio del 1966. Il biglietto da visita è subito consegnato nelle mani del calcio che conta: esordisce con l’Auxerre e nella seconda stagione rimedia subito una maxi squalifica di tre mesi per un tackle da film horror. Dopo 27 reti segnate arriva il salto al Marsiglia, squadra di cui era tifoso, ma anche qui i problemi non mancano: durante un’amichevole con la Torpedo Mosca getta via la maglietta e costringe la società a cederlo in prestito.
L’etichetta di ‘bad boy’ arriva ufficialmente con le avventure al Bordeaux, al Montpellier e al Nimes: proprio con quest’ultima maglia nel dicembre del 1991 lancia la palla verso il pubblico e la maglia all’arbitro, guadagnandosi un’altra maxi squalifica di un mese, ulteriormente prolungata ad altri due per aver insultato pubblicamente i giudici sportivi. A soli 25 anni Cantona pensa al ritiro, convinto a restare in attività soltanto dall’allora ct della Francia Michel Platini.
A questo punto Eric è costretto a cambiare aria: arriva il trasferimento in Premier League al Leeds e con questa maglia riesce a vincere il titolo nel 1992, ma anche qui viene scaricato. Le parole del tecnico Howard Wilkinson non lasciano scampo ad interpretazioni: “Non è pronto a tollerare le regole ed i limiti validi per tutti gli altri”. Ma le qualità mostrate in campo non passano inosservate: l’occhio attento di Alex Ferguson lo porta al Manchester United. Ed è qui che, nel bene e nel male, scrive la storia.
A conferma di un eccesso quasi nauseante di personalità, Cantona sceglie la numero 7 di George Best. Dal fuoriclasse nordirlandese non eredita solo la maglia, il francese porta con sè tutto il genio e tutta la follia che ha caratterizzato il suo predecessore e che lo ha contraddistinto nei primi anni della sua carriera. Tecnica sopraffina e grande efficacia sotto porta, Cantona incanta immediatamente il pubblico dei Red Devils e diventa ben presto il leader della squadra: arrivano 34 reti e due titoli nazionali nelle prime due stagioni. L’Old Trafford diventa ufficialmente il ‘Teatro dei sogni’.
Nella stagione 1993-94 tocca il punto più alto della sua carriera, arrivando terzo nella classifica del Pallone d’Oro, dietro al vincitore Roberto Baggio e a Dennis Bergkamp. Ma nella stagione successiva la vita calcistica di Eric arriva ad un punto di svolta.
Siamo a metà campionato della stagione 1994-95 ed il suo Manchester United è in piena corsa per il titolo con il sorprendente Blackburn, la squadra di Ferguson fa visita al modesto Crystal Palace, nel piccolo impianto di Selhurst Park, dove il calore del pubblico arriva fin troppo direttamente sul prato di gioco.
Se hai appena portato per due volte di fila la tua squadra sul tetto d’Inghilterra e nei piedi hai talento da vendere, puoi e devi aspettarti marcature asfissianti. Ed è qui che entra in gioco una figura chiave: Richard Shaw, difensore inglese 27enne famoso per la sua aggressività e per la sua irruenza negli interventi. La strada del ruvido giocatore si incontra con quella del numero 7 ed è proprio su questo pericoloso incrocio che viene deciso il destino del campionato e buona parte della carriera di Cantona.
All’ennesima trattenuta del giocatore del Crystal Palace il francese reagisce con un calcione, l’arbitro Wilkie non può esimersi dal mostrare il cartellino rosso: la missione del tecnico di casa John Salako è compiuta, il fuoriclasse dello United è perfettamente caduto nella trappola. Una testa troppo calda per restare lucida fino in fondo. Una testa che, poco dopo, sarebbe diventata incandescente.
Cantona si avvia lentamente verso la propria panchina, dove incontra la gelida indifferenza di mister Ferguson. La rabbia sale sempre di più, fino ad esplodere definitivamente durante il percorso che porta agli spogliatoi. Dagli spalti un 20enne tifoso del Crystal Palace, identificato poi con il nome di Matthew Simmons, scende ben undici file di gradini, si piazza dietro i tabelloni pubblicitari ed insulta a gran voce il calciatore.
Il vulcanico attaccante francese perde totalmente il controllo e si esibisce in un calcio volante degno del miglior Bruce Lee: una mossa di kung fu che affonda i tacchetti sul petto del giovane supporter di casa. Cantona si rialza e sferra anche un pugno, prima di essere portato via a forza dal portiere Schmeichel, mentre da lontano arriva anche Paul Ince che si getta nella mischia e aggredisce un altro spettatore, il tutto sotto le bocche spalancate degli altri tifosi più vicini.
Che cosa abbia detto di preciso Simmons non è ancora ben definito: molte indiscrezioni riferiscono di un invito molto ‘colorito’ a tornare in Francia. Lo stesso Cantona in seguito riferirà invece di aver sentito qualcosa di “crudele ed irripetibile” nei confronti della madre. Quel giorno sugli spalti era presente anche Massimo Moratti, che proprio in quel momento accantonò l’idea di portare il francese in Italia.
L’episodio scosse l’intera Gran Bretagna, recentemente uscita dalla guerra al movimento hooligans. Il presidente della Football Association, Graham Kelly, chiese ed ottenne una punizione esemplare: “E’ un atto senza precedenti, che infanga il nostro sport. E’ un episodio deplorevole, un pessimo esempio per i più giovani”. Arrivò una squalifica di otto mesi, con la condanna a due settimane di carcere, poi immediatamente trasformate in 120 ore di servizi socialmente utili.
Solo dopo l’appello Cantona si presentò ai microfoni della stampa, commentando il tutto con una sola frase, divenuta poi tra le più celebri del mondo calcistico: “Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che le sardine saranno gettate in mare”. Il fuoriclasse francese dichiarò in seguito di aver pensato una frase senza senso volutamente, ma in realtà il messaggio era chiaro: la polemica era riferita ai media che lo perseguitavano senza sosta. Il numero 7, d’altronde, era pane quotidiano per la stampa britannica, che aveva trovato un nuovo ‘bad boy’ dopo l’addio di Best.
Senza il suo leader, il Manchester United lasciò la Premier League al Blackburn di Alan Shearer, ma i Red Devils tornarono a dominare la scena inglese proprio dopo il ritorno di Cantona, convinto a non mollare da Alex Ferguson, già allora Sir…
Arrivarono altri due titoli più una FA Cup, prima del ritiro a soli 30 anni.
Matthew Simmons, l’altro grande protagonista dello scandalo, non era esattamente un ragazzo modello: fu scoperto che era stato condannato per tentata rapina e rissa solo tre anni prima. Durante il processo per comportamento minaccioso e abuso verbale, inoltre, tentò di assalire la giuria con un calcio molto simile a quello ricevuto dal giocatore dello United. Dopo 24 ore in cella fu rilasciato e si ritrovò disoccupato, mentre veniva anche accostato al movimento neonazista British National Front. “Mi sono trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. Quell’episodio mi ha rovinato la vita”, dichiarò diversi anni dopo l’accaduto.
Pochi anni fa, nel 2011, il nome di Matthew Simmons finì nuovamente sulle pagine dei giornali per un’aggressione ad un certo Stuart Cooper, allenatore della squadra giovanile ‘colpevole’ di aver messo ai margini suo figlio. Il tecnico fu colpito con diversi pugni durante una partita fra ragazzini e l’ex vittima di Cantona fu condannata a sei mesi di carcere, poi sospesi, con 150 ore di lavori socialmente utili.
Dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, Cantona si è dedicato al cinema e alla politica, mentre ora è il direttore tecnico dei New York Cosmos. Una vita nuova insomma, condita però ancora da quell’irrefrenabile istinto ribelle: lo scorso marzo, infatti, l’ex attaccante francese è stato fermato dalla polizia per una rissa in un lussuoso quartiere di Londra. Perchè Eric è così, prendere o lasciare, o si odia o si ama. Perchè proprio come dice lui stesso, nel film ‘Il Mio Amico Eric’ di Ken Loach (2009), “io non sono un uomo, sono Eric Cantona”.
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