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Ciao Pietruzzu, centravanti che unì Nord e Sud correndo dietro un pallone!
- Updated: 19 gennaio 2020

di Paolo Paoletti - Il calcio italiano piange Pietro Anastasi. Pochi lo ricordano. Minuto di raccoglimento solo a Lecce e allo Stadium. Vergogna
L’ex attaccante di Juventus e Inter è morto a 71 anni. Aveva un tumore, scoperto poco più di un anno fa.
Il calcio è patrimonio, anche culturale, globale.
Va preservato. Sopratutto dai Palazzi del potere che gestiscono un bene nazionale che oltre a produrre spettacolo, deve proporsi modello etico per la crescita dell’intero movimento della nostra comunità in particolare i giovani.
Una funzione che la Federazione guidata dal presidente Gravina ha il dovere di incarnare!
Spesso senza riuscirci come nella occasione mancata del ricordo di Pietro Anastasi fra i simboli più genuini del calcio italiano dei tempi moderni.
Una mancanza di rispetto verso l’uomo prima del calciatore, la sua famiglia, la scomparsa, tragica per l’ultimo anno di tribolazioni.
La morte di Pietruzzu ha scosso l’opinione pubblica del popolo pallonaro innamorato dei suoi personaggi positivi, portabandiera di un calcio che fu.
Ascoli, Inter e Juventus con il lutto al braccio, hanno riparato in parte, dove il bomber siciliano aveva regalato le sue prodezze e la sua carriera scrivendone una parte importante della loro storia.
Altrove non è accaduto, perché dalla Federazione ieri non era arrivata alcuna disposizione in merito.
Il fatto che i vertici del calcio abbiano lasciato alla discrezionalità di ciascuno il compito di ricordare ufficialmente o meno la figura di Anastasi, mentre avrebbero dovuto posizionarsi in prima fila per un ricordo collettivo e univoco, addolora e insieme provoca stupore. Pietruzzu, ai cui funerali di domani pomeriggio a Varese si raccoglierà verosimilmente tanto mondo del pallone, non era soltanto lo scrigno della memoria custodita dalle società di club per le quali aveva giocato. Lo fu e lo è ancora per quella della nostra nazionale che vinse il suo unico Europeo nel 1968 battendo la Jugoslavia proprio grazie alla rete segnata in sforbiciata acrobatica da quel “picciotto” esordiente e appena ventenne.
Un’imperdonabile amnesia del Palazzo azzurro proprio nell’anno in cui l’Italia di Mancini tenterà di conquistare il suo secondo titolo di campione d’Europa. E le scuse non basteranno.
Anche se la Federazione ha in mente una serie di iniziative Legate all’Azzurro: a Pietro sarà dedicata la partita di Wembley del 27 marzo contro l’Inghilterra e un incontro delle Leggende in programma a maggio. Una corona della Federazione sarà naturalmente presente ai funerali di Anastasi con la scritta: “Azzurro per sempre”.
Simbolo della Juventus anni Settanta, ‘Pietruzzu’ giocò 8 anni a Torino vincendo 3 scudetti e una Coppa Italia con 78 gol su 258 presenze in Serie A.
La Juve lo prese dal Varese e lo cedette all’Inter in cambio di Boninsegna.
Dopo due anni di nerazzurro passò all’Ascoli e chiuse la carriera in Svizzera al Lugano.
Indosso la maglia della Nazionale in 25 gare, segnando 8 gol, vincendo l’Europeo 1968.
IO RICORDO QUELLA NOTTE. Avevo 12 anni, davanti la tivvù, la palla sale rapida attraverso mani e piedi fatati. Da Zoff a Mazzola, a cui basta alzare la testa per accorgersi che De Sisti è già vicino la linea di metà campo, fuori dal controllo degli jugoslavi.
Sandro mette la palla nello spazio che si spalanca davanti a Picchio, mentre Domenghini comincia a correre senza palla. Corre perché ha già capito cosa potrebbe succedere, cosa sta per succedere. Gira alle spalle di De Sisti, si scambiano la palla, quando il primo difensore della Jugoslavia esce per marcarlo è troppo tardi: Picchio ha già visto lui, Pietruzzu Anastasi, che al limite dell’area di rigore si è svincolato dalla marcatura.
Ha le spalle girate alla porta, “Che potrà mai combinare?”, sembrano chiedersi gli ottimisti difensori del ct Mitic.
Non sanno che Pietro Anastasi, catanese, soprannominato u’Turcu, con le spalle alla porta è capace di autentiche magie.
La palla che De Sisti gli passa bassa e precisa lui la alza con un tocco di Destro e ancora di Destro, come un fulmine, e sempre con la spalle girate alla porta, prima che tocchi l’erba dell’Olimpico la scaraventa in rete, vicino al palo, con una mezza girata che resterà il simbolo dei suoi gol.
E’ una rete storica e meravigliosa, è il 2-0 alla Jugoslavia nella finale-bis dell’unico Europeo che abbiamo vinto, quello del ‘68!
Il primo gol fu di Gigi Riva. Trent’anni dopo l’Italia Campione del Mondo. Da Vittorio Pozzo a Ferruccio Valcareggi che aveva creato nella sua Nazionale una delle più forti coppie d’attaccanti di tutti i tempi. Una coppia classica, la potenza e la velocità mischiate in una straordinaria miscela, Anastasi era perfetto per Riva e Riva era perfetto per Anastasi.
Due anni dopo stavano per partire insieme per il Messico. Li temevano anche i brasiliani, ma nella notte fra il 15 e il 16 maggio 1970, la notte prima della partenza, Anastasi cominciò a lamentarsi. Aveva fortissimi dolori al basso ventre, nella camera del Parco dei Principi che ospitava la Nazionale lo visitò il dottor Fino Fini. Si parlò di appendicite, venne operato e al suo posto Valcareggi chiamò non uno ma due attaccanti, Boninsegna e Prati, così la lista passò da 22 a 23 azzurri.
Il ct si ripromise di scegliere l’escluso in Messico e l’escluso non fu un attaccante ma Giovanni Lodetti, il mediano scudiero di Rivera. Ferruccio racconterà anni dopo: “Che non avrebbe fatto parte dei 22 glielo dissi quando eravamo già in Messico. Non so come feci a guardarlo negli occhi”.
La sua faccia in tv, mentre piange, resterà per sempre il più amaro dei miei ricordi calcistici”.
Forse avremmo perso lo stesso quel mondiale, perché il Brasile ‘70 è stata la più forte squadra del mondo, ma con Anastasi in campo avremmo avuto quanto meno una chance in più. Due come Gigi e Pietro, nascono solo ogni tanto.
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